La pocia La pozzanghera poesia dialetto bresciano di Velise Bonfante
La pòcia
Me piàs che le gran poce en sö l’asfalt
ciar, löster, vernizàt, tiràt a nöf,
che spècia töt chèl gris che gh’è quan piöf
e fa ridulà en bas el ciel pö alt
a quacià zo i tacógn e a fa töt lis.
L’asfalt, col ciel che s’è ‘ncolàt ensima,
l’è a curiùs fis-fis po quan smarina
co l’engropàs del scür en mès ai griss.
St’aria la mèt adòs en so mia che
sensa culur me sènte gris po me,
me ve òja de muìm, de libertà
mes-ciàm al ciel, me piazarés vulà.
Ma sö l’asfalt la pocia me rit dre:
vöi vulà ma me cate miss i pe.
La pozzanghera – Mi piacciono quelle gran pozzanghere sull’asfalto / chiaro, lucido, verniciato, rimesso a nuovo / che specchiano tutto il grigio che appare quando piove / e fanno rotolare in basso il cielo più alto // a coprire le toppe e tutto diventa liscio. / L’asfalto, col cielo incollato sopra / è speciale anche quando pioviggina / e s’annoda lo scuro al perlaceo grigiore. // Quest’aria mette addosso un certo non so che / senza colore anch’io mi sento grigio, / mi viene voglia di muovermi, voglia di libertà / mescolarmi al cielo, mi piacerebbe volare. / Ma la pozzanghera mi deride: / vorrei volare ma mi trovo coi piedi inzuppati.
La pocia La pozzanghera poesia dialetto bresciano del basso Garda
nel libro libro “Gira girasùl – a.c.m. Indipendentemente editore – marzo 2009
26 – 6 – 2004 – 1° premio alla 4a edizione del concorso nazionale nella sezione poesia in dialetto bandito dal Comune di Vigonza per la sezione Poesia Dialettale
Motivazione della giuria: Splendido, musicale sonetto che, partendo da un’idea minima come un’emozione serale, canta la gioia di essere al mondo nonostante la quotidianità tenda, anziché lasciarci volare, a costringere lo sguardo all’ingiù, verso le metaforiche pozzanghere che bagnano i nostri piedi.
Velise, come contenuto, l’apprezzo molto, perché tratta metaforicamente la nullità della vita che ci vede impantanati in una quotidianità intrisa di guai, causa della perdita dei nostri sogni. La struttura strofica è quella del sonetto, ma non può essere considerato tale, perché la seconda quartina deve rispecchiare lo schema rimico della prima quartina Lo schema dovrebbe essere: ABBA/ABBA, CCD/DCC. Anche le terzine non dovrebbero avere rime baciate. Su wikipedia è riportato il sonetto in tutte le sue forme ammesse.
Molto vario è lo schema ritmico del sonetto. Quello originario era composto da rime alterne ABAB ABAB sia nelle quartine che terzine CDC DCD, oppure con tre rime ripetute CDE CDE, o ancora con struttura ABAB ABAB CDC ECE.
Quello in vigore nel Dolce stil novo introduceva nelle quartine la rima incrociata: ABBA/ABBA, forma che in seguito ebbe la prevalenza. Il sonetto è pertanto un genere poetico che ha capacità poliedriche e risponde a funzioni diverse.
https://it.wikipedia.org/wiki/Sonetto
Giustissimo, però la seconda quartina non può essere cambiata a piacere. Sono più le terzine a poter essere variate. Io mi attengo al sonetto originario (quello della scuola siciliana) ed anche a quello stilnovistico. Entrambi sono considerati classici. Tutto ciò che il sonetto ha subito nei suoi secoli per mano di vari poeti sia stranieri che italiani è da ritenersi non classico e deleterio. Alla fin fine ognuno può fare come vuole, ma chi conosce bene le regole del sonetto riterrà errato lo schema strutturale e la rima. Bene, Ti saluto, Velise, ciao!