El supilì ros – Lo zoccoletto rosso – raccolta di poesie dialetto bresciano con traduzione in italiano

El supilì ros Lo zoccoletto rosso Poesie dialetto bresciano – 50 poesie in dialetto bresciano con relativi disegni

Casa Editrice a.c.m. Indipendentemente – Settembre 1999

02 el supilì ros

El supilì ros Lo zoccoletto rosso Poesie dialetto bresciano

Prefazione di Vittorio Soregaroli

Per magia la vita può mutarsi in poesia. E accade che il vissuto affiori in versi del presente grazie a suoni e voci, a volte dolorose, di anni lontani: “rìa de lons en piànzer silensiùs mes’ciàt a ‘n ciocà de söpèi”.

Farsi poeta è seguire un itinerario intimo, percorso da risonanze ed echi, fino a lambire la fonte del mistero che ci avvolge. Quando poi è il dialetto ad esprimere l’intuizione poetica, la poesia diviene lirico sentire degli umori più vivi, genuino canto del domestico e del quotidiano, voce del vivere.

el supilì ros

Anche se, qui, l’io artistico non sempre coincide con l’io anagrafico. Frequente l’enunciato in prima persona maschile quasi per un rifiuto di convenzioni omologanti –“m’ha semper fat póra embatìm nel töt precìs”. Essenziali e limpidi sono i ricordi, immediata l’immagine nella freschezza di emozioni colte allo stato nascente.

In versi, dal fascino discreto di un’antica poesia, traspaiono, in filigrana, il profilo e l’agire dei genitori. Riconoscibile la consuetudine con la madre, sarta, nell’efficace: “üciàda dopo üciàda som dré a cúser la vita”. La vita è un “vistìt che ve fat demenemà” e sono necessari “rampinèi, büsète e butù per tègner tacàt en brisinì d’amùr”.

L’anima del passato, presente nella bottega di antiquario del padre, ha lasciato in dono il “saùr e la müsüra del temp”. E nella solitudine è di conforto rannicchiarsi nel vecchio divano: “vöi sta ché, enmaciàt ne la gnàta fónda de la me utumàna ècia”.

Il padre, che non è più, è continuamente ricercato (“amó te sérche… en del scür amó te sérche”) e sempre presente (“Bubà, te vède dré a vardàm”). I vivi si possono ascoltare, ma il colloquio è riservato ai morti (“scùlte i viv” ma “pàrle coi mórcc”) poiché è la morte che accompagna il vivere: “se nàs co’ la mórt cusìda”.

el supilì rosPrincipale nucleo ispiratore, il legame con le origini diviene memoria evocatrice di infantili evasioni. Basta un niente, il coccio di un piatto (“na ciapèla”) perché riaffiori il gioco innocente. E dalla scorza delle piante “sbüza föra… us de gnàri scundìde” quando sulla pelle “se sent el cald de altre istà”.

Amaro invece è il dolore nello scoprire una stanza, dall’odore acre, dove il passato è rinchiuso senza speranza di ritorno. Qui si accentua il male del vivere (“chèsto grop en gùla”) che “a ólte rìa che se ‘n pöl pö”. Un male esistenziale accentuato da un “cincìn de sula col bicér vöt” .

Ricompare la paura del buio e delle ombre: “de töte le bande rìa umbrìe… le se pòsta col nas ai me véder… per entorciàm en del scür po me”. È il buio della notte. Notte insonne di una madre in apprensione per “la féer del gnaro co’ la tós” insieme allo “strangosà de póra de perder per semper vergü”.

supilì (8)Un’ansia che permane anche quando i figli, crescendo, lasciano il nido. L’attesa è frustrante (“gna ‘ncö ‘l pustì el g’ha ciocàt a l’ös”) fino al ritorno, quando il nodo si scioglie senza pudore e la voce si fa poesia fisica per riappropriarsi di affetti carpiti da un mondo ostile: “en sö le scàrpe te, pólver straniera, pólver spurca e grìsa… de paés luntà e catìf”.

Nuclei tematici intimi, icone familiari, microcosmi dell’io e tuttavia costante è il rimando dal particolare del vivere al più ampio universo dell’essere che tutti coinvolge e di cui l’io è specchio e riflesso. La poesia è metafora: sua è la vocazione a tradurre in immagini il comune sentire. Se è vero che “le égne, coi ram en crus, le arda el ciel, le prega” e persino la gramigna “la rìa a sbüzà l’asfàlt per veder el ciel”, non sfugge il venir meno del credo religioso: “I pater… sensa us…” sono ormai “trop grév per ulà ‘n ciel”.

Intensa è la mestizia davanti all’abbandono e all’incuria della cappella dell’Assunta: “gh’è burlàt zo i quadrèi, gh’è ulàt i cóp”. Ormai “l’è a sègn per ciapà ‘l vul” come gli angeli dimenticati e stanchi “co’ le àle strinàde”, pronti ad andarsene.

El supilì ros Lo zoccoletto rosso Poesie dialetto bresciano

Solo nella natura è ancora possibile cogliere il valore dell’umana vicenda e il fascino del mistero. Pur nella tempesta, il cielo e la terra festeggiano le nozze e il vento, di fronte al pino sradicato, avverte un impeto di pietà: “el völ fal lià sö, el la sgorlés” come “en pader disperàt che ciàma ‘l fiöl” .

Nella natura si placa il travaglio. Qui è la sorgente di pacate percezioni nella consonanza di mutevoli apparenze. L’ispirazione vive di luci e colori aprendosi all’incanto: “vàrde ‘l mond come ‘n pès da ‘na bòcia de véder”.

Ma il momento di grazia, nel transuente che trasforma ogni cosa, è poi colto nel suo svanire. Della fiera, della festa, rimane un palloncino che si perde nel “ciel carniöla” e della vita si vive il commiato nell’ultima carezza a una logora tovaglia: “ghe fo le care ‘n del tiràga vìa ‘na brìsa”.

supilì (5)A vincere è sempre il tempo. Di ciò che è stato rimane il racconto di felci e fiori che ancora ricordano “el süpilì rós” scivolato nell’acqua. Se n’è andato con la corrente. Se n’è andato così, come le gioie e i dolori, se n’è andato così, come va il tempo.

 

 

Velise Bonfante

El supilì ros Lo zoccoletto rosso Poesie dialetto bresciano

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